Perché a me?

Questa è la domanda che molte donne vorrebbero urlare quando per la prima volta, o peggio per la seconda o la terza, sentono le fatidiche parole: “Signora, non c’è più battito…”.

In realtà l’aborto spontaneo è un’esperienza molto comune. Nessuno sa esattamente quanti aborti avvengano, dal momento che quelli più precoci spesso non sono riconosciuti neppure dalle donne che li vivono. Secondo alcune stime più di una gravidanza su 5 esita in aborto, secondo altre avviene nel 15-25% delle gravidanze. 

Inoltre non è sempre possibile individuarne le cause; un aborto spontaneo o una morte intrauterina del feto avvengono per molte ragioni diverse. Talvolta le cause sono conosciute e prevedibili, in altri casi vengono scoperte attraverso le indagini mediche consigliate dai curanti, mentre a volte, invece, rimangono sconosciute e catalogate con l’odiata dicitura “sine causa”.

Due cose però è importante sottolineare:

  • a dispetto di molte credenze popolari, è ormai accertato che molto difficilmente l’aborto è causato da qualcosa che la donna ha fatto o non ha fatto;
  • esiste una grande possibilità che la gravidanza successiva abbia un esito assolutamente positivo e si concluda con la nascita di un bimbo sano.

Solitamente viene definita aborto spontaneo la perdita di un bimbo quando avviene entro le 24 settimane di gravidanza. Successivamente si parla di morte intrauterina, precoce se avviene dalla ventiquattresima alla ventottesima settimana, tardiva quando avviene dopo la ventottesima settimana.

Ma queste differenze tecniche poco importano a chi sperimenta il lutto prenatale e perinatale, la cui intensità non è assolutamente correlata all’età gestazionale, né alla presenza di patologie fetali incompatibili con la vita, ma dipende invece dal grado di investimento affettivo della coppia genitoriale e dalla relazione di attaccamento che hanno già instaurato con il bimbo, che inizia molto prima della sua nascita.

Nonostante la frequenza con cui gli aborti spontanei accadono, noi donne non siamo mai preparate a questa evenienza. Non ci pensiamo mai realmente, per quanto razionalmente sappiamo che può accadere.

Quando l’impensabile avviene ci troviamo, di colpo e senza volerlo, a dover affrontare conseguenze emotive, psicologiche, psicosomatiche, comportamentali, immerse in una varietà di emozioni diverse ma tutte egualmente intense e totalizzanti.

Ci troviamo catapultate nel lutto per la morte di nostro figlio, di quel bimbo immaginato e sognato, e impariamo presto che si tratta di un lutto con mille sfumature, che causerà sofferenza anche per altre perdite correlate: la perdita della relazione con lui, la profonda ferita esistenziale che una madre vive quando non riesce a proteggere il suo piccolo, la perdita di tutte le piccole e grandi aspettative correlate a quella nascita, la perdita di una parte della propria identità di genitori, il lutto del corpo, che sembra tradire ed essere incapace di generare e proteggere la vita.

E’ esperienza comune delle coppie genitoriali in lutto, il vivere una profonda rottura esistenziale tra il “prima”, pieno di aspettative per una vita che sboccia, di sogni, speranze e emozioni positive, e un “dopo”, in cui si vive lo shock, nulla sembra più avere lo stesso significato e si sperimenta un momento di rottura nel proprio percorso esistenziale, dovuto all’interruzione del percorso genitoriale appena iniziato ma già profondamente parte del proprio vissuto.

In questo momento di dolore e confusione, in cui spesso ci si sente del tutto impotenti e senza alcun controllo, pensieri come “Perché è accaduto proprio a me?” sopraggiungono spesso, accompagnati da profonda autocritica, senso di colpa, solitudine, vergogna, rabbia, emozioni intense e difficilmente esprimibili perché accompagnate da senso di inadeguatezza e indegnità.

È importante invece rendersi conto che non esistono emozioni e reazioni giuste o sbagliate, pensieri leciti o inappropriati, non esiste una ricetta per vivere il lutto di un figlio. Ognuno ha il diritto di esprimere il proprio dolore nei modi e tempi a lui più congeniali e a scegliere il sentiero che lo porterà, alla fine, al recupero di una nuova serenità, data dall’aver integrato il lutto nella propria vita.

Altrettanto fondamentale è avere attorno a sé, quando possibile, una rete di supporto, formata da partner, famiglia, amici, che stia vicino e sostenga in questo lungo percorso a ostacoli. Senza dimenticare la possibilità, se lo si desidera, di affidarsi ad un professionista esperto e, soprattutto, disponibile ad avvicinarsi ad un dolore così intimo e profondo con rispetto e attenzione all’unicità della storia di ogni persona. Non sarà facile, e neppure il migliore professionista al mondo potrà impedirvi di soffrire, ma potrà accompagnarvi e sostenervi lungo la strada che avrete scelto, senza costringervi a percorrere sentieri prefissati né proporvi soluzioni preconfezionate.

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