
Ogni adulto che abbia conosciuto e amato un bambino sa cosa significhi cercare di proteggerlo. Il mondo è pieno di esperienze ed eventi a cui non si vorrebbe mai esporre i bambini e noi adulti, soprattutto se genitori, faremmo qualsiasi cosa per tenerli al sicuro, perché è il nostro lavoro traghettarli dall’infanzia all’età adulta nel modo migliore possibile.
Proteggere i bambini, inoltre, è un comportamento adattivo.
Il guaio è che non possiamo tenere sotto controllo ogni cosa. Malgrado i nostri sforzi per mantenere tutti i nostri cari al sicuro, in salute e felici, la vita talvolta ha altri piani. Le tragedie accadono e quando ciò avviene l’istinto dell’adulto rimane spesso quello di diminuire l’esposizione, allontanando i più piccoli, e minimizzare il danno che i bambini potrebbero subire.
Proviamo a fare un esempio facilmente comprensibile, pensiamo a una situazione che può accadere quotidianamente nelle nostre case. Immaginiamo di essere sul nostro divano e di fare zapping tra i canali tv, con accanto nostro figlio/nipote che gioca tranquillamente accanto a noi e lancia ogni tanto uno sguardo allo schermo, quando qualche suono o immagine attrae la sua attenzione. Ci soffermiamo un attimo su un programma che sembra interessante e, all’improvviso, appaiono scene di violenza. Immediatamente ci accorgiamo che questo ha attirato l’attenzione del bambino e quindi cambiamo velocemente canale, lanciando contemporaneamente una occhiata al bambino per controllare la sua reazione e, dato che sembra apparentemente tranquillo, non diciamo nulla per non peggiorare le cose.
Ecco, quando eventi drammatici accadono nelle nostre vite, ci comportiamo nello stesso modo: cambiamo metaforicamente canale. Ma questo è un grande problema, vediamo perché.
Se cambiamo canale nel bel mezzo dell’azione e senza neppure parlarne, il nostro bambino non vedrà mai come gli eroi e le persone comuni affrontano le avversità e si sostengono a vicenda. Nella sua immaginazione rimarrà solo una scena infernale e senza senso e, senza la guida e il supporto di un adulto, non avrà alcuna idea di come gestire il tornado di emozioni che sente dentro di sé.
In quanto adulti significativi dovremmo, invece, essere una figura fondamentale nell’aiutarlo a scoprire cosa accade dopo la tragedia, per mille motivi diversi. Ma oggi voglio concentrarmi solo su uno di questi motivi, particolarmente importante.
In Psicologia esiste un concetto famoso, conosciuto come Teoria dell’Apprendimento Sociale, proposto da Alfred Bandura negli anni ’70 del secolo scorso. In parole molto semplici, l’apprendimento sociale avviene semplicemente osservando le azioni e i comportamenti degli altri intorno a noi. Quando impariamo osservando o imitando gli altri, siamo impegnati in quello che viene chiamato apprendimento osservativo o Modeling.
Questo tipo di apprendimento può avvenire in qualsiasi momento della vita, ma è più comune nell’età infantile, quando i bambini si muovono nel mondo prestando molta attenzione ai comportamenti dei pari e degli adulti di cui si fidano. È, inoltre, un tipo di apprendimento particolarmente importante nella socializzazione dei bambini, perché osservando imparano come comportarsi in risposta agli altri.
Diventa quindi evidente che, in quanto adulti di riferimento per i nostri figli, sia dal punto di vista affettivo che educativo, il nostro comportamento è uno stimolo per il Modeling ed è molto più probabile che venga imitato se:
- siamo percepiti come un supporto
- la situazione è confusa, ambigua o poco familiare.
Il lutto è sicuramente una situazione confusiva e rara per un bambino, per cui il modo in cui noi lo affrontiamo può fare una grande differenza.
E qui si ripropone lo stesso problema di cui parlavamo all’inizio di questo articolo: l’istinto di protezione, infatti, potrebbe spingere noi adulti ad allontanare i bambini dalle emozioni difficili o dalle situazioni che potrebbero ricordare loro la morte o il trauma. Se poi sia adulti che bambini stanno vivendo lo stesso lutto, questo può significare che i primi potrebbero sentire la necessità di nascondere il proprio dolore di fronte ai bambini o, addirittura, di non parlare apertamente della persona morta, quasi non esistesse più e fosse meglio dimenticarla piuttosto che soffrire.
Se quindi, tornando alla metafora precedente, cambiamo improvvisamente canale e non ne parliamo più, è molto pericoloso per il benessere psicologico dei più piccoli, per diverse ragioni:
- Proteggere un bambino dalle emozioni difficili dopo che hanno vissuto la morte di qualcuno per loro significativo è impossibile. Occorre farsene una ragione. È qualcosa al di fuori del nostro controllo. È sicuro che sperimenterà emozioni difficili, sia che ne parliamo oppure no. Nascondere il proprio lutto e tentare di allontanare tristezza, rabbia, frustrazione o altre emozioni negative causerà solo più confusione nel bambino, facendolo sentire isolato, solo, e suggerendogli che le emozioni che sente così forti in sé sono inaccettabili, anormali o sbagliate.
- Il bambino potrebbe imparare che schemi di comportamento maladattivi come l’evitamento siano invece una scelta corretta. È evidente come sia meglio per i bambini imparare come tollerare le avversità, affrontarle e fare i conti con le proprie emozioni, piuttosto che imparare ad evitarle e viverle come un peso o una vergogna.
- Il bambino potrebbe imparare che le emozioni e i ricordi sono qualcosa di cui avere paura. Sebbene certi ricordi ed emozioni possano causare una discreta quantità di stress, è importante imparare che possono essere tollerate e che il fatto di sperimentarle nella loro varietà è fondamentale per poter vivere una vita piena di significato
- Il bambino potrebbe sentirsi scoraggiato e disincentivato a mantenere il proprio legame con la persona cara che non c’è più. Una parte importante del lutto consiste nel trovare nuovi modi per continuare la relazione con chi è morto, nonostante la mancanza della sua presenza fisica. Se evitiamo costantemente di parlarne, il bambino si vede negata l’opportunità di mantenere il legame all’interno del contesto familiare. Potrà continuare a farlo all’interno di sé ma, essendo giovane, sarebbe giusto contare sugli adulti come preziosa risorsa di ricordi e informazioni.
Per concludere, mi sento di suggerire solo tre piccoli accorgimenti cui prestare attenzione per poter essere un buon modello per i nostri figli:
- Vivete il lutto apertamente, nel modo che viene naturale. Certamente ci saranno momenti di rabbia o di disperazione che sarà preferibile vivere privatamente o fra adulti, ma essere aperti e onesti rispetto alle proprie emozioni rassicurerà i bimbi sul fatto di non essere soli e sull’accettabilità sociale del provare tutti i tipi di emozioni collegate al lutto. Quando siete tristi, ditelo; se vi fanno domande sulla morte, rispondete; se non sapete rispondere, non è importante, siate onesti e magari cercate di trovare la risposta insieme a loro, potrebbero stupirvi.
- Aiutate i vostri figli a trovare il loro modo di vivere il lutto. Potrebbero avere domande sulla morte cui non sapete rispondere, potrebbero voler parlare di ricordi che non siete pronti a rivivere, e sicuramente nel momento in cui voi stessi state soffrendo è impossibile essere presenti per loro in ogni momento al 100%. In questi casi, aiutateli a trovare un altro adulto di fiducia che possa supportarli, uno zio, un vecchio amico oppure un professionista che sappia rispondere ai loro bisogni affinché possano continuare il loro percorso di lutto.
- Fate sì che il vostro caro che è defunto continui a far parte della vita quotidiana. Il vostro caro è morto ma ciò non significa che sia diventato di colpo una parte meno importante della vostra famiglia. Perciò continuate a trovare nuovi modi di parlarne e di farlo partecipare alla quotidianità dei vostri figli. Create un ambiente dove il parlare del vostro caro, il condividere i ricordi, il pronunciare il suo nome ed il fare domande non sia un problema.
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