SIDS: una sigla per un immenso dolore

La SIDS, Sudden Infant Death Syndrome, comunemente conosciuta come “morte in culla”, è stata definita come entità nosologica a sé stante nel 1969. Questa sigla è il nome che viene dato alla morte improvvisa ed inaspettata di un neonato apparentemente sano, che rimane inspiegata anche dopo un’indagine approfondita, comprensiva di autopsia ed esame sia delle circostanze del decesso che della storia clinica del bambino. 

Questo significa che quella di SIDS è una diagnosi di esclusione, cioè viene fatta solo dopo aver escluso qualsiasi altra causa possibile, ma significa anche, purtroppo, che non si sa ancora con esattezza perché questi bambini muoiono. 

Dal punto di vista dei genitori tutto ciò fa sì che la morte per SIDS del proprio bambino porti ad un lutto perinatale ancora più delicato e complesso in quanto, oltre al dolore straziante della perdita improvvisa occorre confrontarsi anche con difficili decisioni, come, ad esempio, quella di effettuare una autopsia per poter avere una spiegazione e aiutare la ricerca sulle morti in culla.

L’incidenza media della SIDS nei paesi industrializzati è di circa un caso ogni 2000 bambini nati vivi. In Italia non esistono dati nazionali certi sull’incidenza del fenomeno, perché manca un sistema di rilevazione omogeneo, ma in passato è stata calcolata nell’ordine del 1-1,5 ‰ dei nati vivi, mentre attualmente è in netto declino, principalmente per la maggior attenzione nel coricare i neonati in posizione supina. Ora è stimabile attorno allo 0,5 ‰, ovvero c/a 250 nuovi casi di SIDS ogni anno. Il picco di frequenza è tra i 2 e i 4 mesi di vita, soprattutto nel periodo invernale, mentre è più rara dopo i sei mesi. Inoltre, circa il 60 % dei bambini che muoiono sono maschi. 

Si tratta di una morte che si verifica rapidamente, durante il sonno, sia di giorno che di notte, sia in culla che nel passeggino, sia nel seggiolino della macchina che in braccio ai genitori, senza segni di sofferenza. Le testimonianze di genitori o operatori sanitari che l’hanno vista accadere ci raccontano di bambini che, semplicemente e senza una apparente ragione, impallidiscono e smettono di respirare.

Sebbene le cause non siano note, sono state però evidenziate delle correlazioni con alcune situazioni, sulla base delle quali sono stati individuati alcuni comportamenti in grado di ridurne sensibilmente l’incidenza. L’adozione di queste semplici regole, nei paesi in cui sono state diffuse attraverso campagne di informazione di massa, ha portato alla riduzione dell’incidenza della SIDS:

  • il bambino deve essere messo a dormire in posizione supina (a pancia in su) sin dai primi giorni di vita, in culla o nel lettino, meglio se nella stanza dei genitori;
  • l’ambiente non deve mai essere eccessivamente caldo. La temperatura ambientale dovrebbe essere infatti mantenuta attorno ai 20 gradi. Da evitare anche l’eccesso di vestiti e di coperte pesanti che possono far sudare eccessivamente il piccolo;
  • il materasso deve essere della misura esatta della culla/lettino e non eccessivamente soffice. Evitate di far dormire il bambino sopra divani (anche per il pericolo di cadute), cuscini imbottiti, trapunte o comunque avendo vicino oggetti soffici quali giocattoli di peluche o paracolpi per evitare anche il pericolo dell’ingestione di corpi estranei;
  • il bambino deve essere sistemato con i piedi che toccano il fondo della culla o del lettino in modo che non possa scivolare sotto le coperte e va evitato l’uso del cuscino; 
  • la condivisione del letto dei genitori (bed sharing) può essere pericolosa e andrebbe evitata;
  • l’ambiente deve essere libero da fumo, quindi non si deve fumare e bisogna evitare che altri fumino in casa;
  • l’uso del succhiotto durante il sonno, raccomandato in alcuni paesi, può avere un effetto protettivo e andrebbe proposto dopo il mese di vita (per non interferire con l’inizio dell’allattamento al seno) e sospeso possibilmente entro l’anno di vita (per evitare che disturbi il buon sviluppo dei denti).

Appare evidente che il lutto per la perdita del proprio bambino a causa della SIDS abbia molto in comune con qualsiasi altro lutto perinatale: lo shock, il vuoto devastante fra le braccia, il trauma di un evento imprevisto, impensabile e inaspettato, il senso di impotenza e fallimento della propria funzione protettiva, ecc. Ha, però, anche alcune caratteristiche peculiari, che a volte sono all’origine di problemi psicologici e sociali specifici,  come un più acuto senso di inadeguatezza e di colpa, dovuto all’assenza di informazioni che porta a pensare di avere sbagliato qualcosa, di essere venuti meno alle proprie responsabilità, o un paralizzante senso di sgomento, dovuto all’inspiegabilità dell’evento. Se non è possibile trovare un motivo, clinico o genetico, né è possibile assimilare l’accaduto a un incidente, per il quale di solito si possono individuare fattori comprensibili di rischio, è molto difficile trovare un senso, sia della perdita che della vita stessa, che di colpo diventa incomprensibile e spaventosa.

Spesso, di fronte all’assenza di ragioni evidenti o almeno visibili, è quasi impossibile reagire razionalmente. Anche quando i genitori arrivano a capire che non esiste una loro colpa, continuano comunque a pensare che sarebbe stato possibile in qualche modo interrompere la catena di eventi che ha portato alla morte, che, se avessero cambiato programmi, il dramma forse non sarebbe accaduto. È difficile sfuggire a questa sensazione ed è allora necessario un aiuto specifico, che tenga conto di questa particolare situazione di disagio vissuta dai genitori e dalle famiglie colpite da una perdita SIDS. 

Le sfide psicologiche successive a queste morti, infatti, possono essere molte e di diversa natura, dal momento che, oltre al dolore per la perdita del proprio bambino, in un momento in cui nulla sembra avere più alcun senso, si è costretti ad affrontare anche altri traumi correlati al particolare tipo di morte, quali il rapporto con i medici, gli ospedali, i funerali, i problemi legali e così via.

Ogni genitore, inoltre, ha una propria storia con:

  • precedenti esperienze di perdita (separazioni, lutti, aborti), 
  • un progetto (sia sul bambino che sulla propria vita), 
  • un particolare orientamento morale e/o religioso, 
  • risorse e fragilità individuali e familiari diverse (personalità, qualità delle relazioni), 
  • determinate condizioni di realtà (coppia stabile e/o instabile, single, famiglia allargata, problemi di salute personali e/o familiari, presenza o meno di altri figli, possibilità o meno di altre gravidanze, stato socio-economico-culturale, migrazione). 

Il processo di lutto risulta perciò, come sempre, molto diversificato nei tempi e nei modi in rapporto alla esperienza emotiva del genitore e a tutte le variabili di cui sopra. 

Un accompagnamento adeguato richiederà una grande flessibilità e un grande rispetto oltre a una accoglienza attenta e sensibile orientata all’ascolto, alla condivisione e alla comprensione delle reazioni di ognuno. Fondamentale è l’evitare atteggiamenti direttivi e giudicanti, inutili, dannosi e già troppo spesso messi in atto da una società che rifiuta di parlare di morte ed è incapace di stare accanto al dolore.

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