
Quando il giorno della nascita di tuo figlio coincide con quello della sua morte, il dolore sembra annientarti, il cuore si spezza, l’universo si congela ed il vuoto è talmente incolmabile da impedire anche alle persone più care di riuscire a colmarlo e di avvicinarsi per dare conforto.
Ma continuare a vivere è possibile. E non parlo solo della sopravvivenza, dell’ignorare faticosamente quell’impulso a sparire per abbastanza tempo, fino a riuscire finalmente a far trascorrere un giorno dopo l’altro, cercando di far rientrare la normalità in un mondo che di normale non ha più nulla.
Parlo, invece, di tornare davvero a “vivere”, nel senso più profondo del termine, di tornare a vedere un futuro, di tornare a fare progetti, senza dimenticare il proprio bambino (come si potrebbe?!?) ma anzi, proprio grazie alla forza che abbiamo dovuto trovare per attraversare il dolore della sua perdita e all’ispirazione che viene da lui, riuscire a creare solidarietà e bellezza.
Oggi, voglio raccontarvi una storia, vera, che racconta proprio questo.
Qualche settimana fa, dopo una mia conferenza sul lutto perinatale, sono stata avvicinata da una donna che, con molta semplicità, mi ha brevemente accennato la sua storia e, qualche giorno dopo, mi ha inviato delle foto.
Ecco, ho pensato che fosse una storia troppo bella per non diffonderla, per cui ci siamo incontrate e… questa è l’intervista che ne è seguita.
Io: Buongiorno Caterina, vuoi raccontarmi la tua storia?
Caterina: Sì, ve la racconto così come è capitata, la mia disavventura. Era il 9 dicembre del 2010 ed io ero quasi all’ottavo mese di gravidanza… Mi sentivo strana, nessun dolore, nessun segnale, solo una forte, precisa, sensazione che ci fosse qualcosa che non andasse… una sensazione strana, brutta, che mi ha fatto decidere di andare in Pronto Soccorso. Temendo di non essere presa sul serio se avessi parlato di una semplice sensazione, ho raccontato di avere dolore alla pancia e sono stata accompagnata ad effettuare una ecografia di controllo. Il medico ha cominciato a muovere la sonda, a lungo, in silenzio. Poi è uscito ed è ritornato con un collega che, a sua volta, ha cercato a lungo, con la sonda che disegnava inutili traiettorie sulla mia pancia. “C’è qualche problema?”, ho chiesto, ma io di mestiere faccio la veterinaria, un po’ me ne intendo di ecografie, e avevo già capito che qualcosa non andava. Non riuscivano a cogliere il battito del mio bambino e continuavano a cercare, in silenzio. “Ma, è morto?!?” Così, alla fine, ho rotto io quel silenzio, dicendo, io, quello che loro non avevano il coraggio di dirmi. “È possibile”, questa è stata la risposta prima di prepararmi per un cesareo di urgenza.
Io: Tu eri andata per uno scrupolo, per un controllo, eri da sola…
Caterina: Sì, ero da sola…in un turbine di emozioni, stavo vivendo uno shock… ho chiamato mio marito, ho chiamato la mamma… Ho subìto un cesareo d’urgenza, in anestesia epidurale, ma il mio bambino è nato morto.
Mauro, questo è il suo nome, era perfetto, la sua pelle era integra, ma io non l’ho visto subito. Avevo fin da subito informato i medici che volevo vederlo, ma mi hanno chiesto di aspettare la fine dell’intervento, promettendomi che l’avrei rivisto. Il giorno successivo hanno chiamato mio marito, l’hanno consegnato a lui e me lo ha portato. Ci hanno detto che avevamo tutto il tempo che volevamo… L’ho preso in braccio e ho sentito il mio cuore rompersi, ne ho sentito il rumore nelle orecchie, il crack del mio cuore che si spezzava… e l’ho tenuto pochi minuti…ora mi pento, ma in quel momento non ce l’ho fatta, perché vederlo ha reso reale, concreta, la sua perdita.
Nessuno mi ha proposto di raccogliere dei ricordi. Io ho pensato di fare delle foto, di prendere una ciocca di capelli, avrei potuto farlo, ma in quel momento mi sembrava un abominio, una forma di violenza. Magari le avessi fatte! Ora mi dispiace non averle fatte, credo mi sarebbe servito. Ora guardo le ecografie e mi piace, è una conferma che Mauro c’è stato.
Io: Cosa ricordi di quei primi momenti, quei primi giorni?
Caterina: Diciamo che ciò che aggiunge difficoltà a difficoltà, all’interno dell’ospedale, è che la donna che perde un figlio si trova nello stesso reparto in cui i bambini nascono. Ho trovato alcuni operatori molto attenti e altri che assolutamente non lo erano. Quelli attenti mi hanno cambiato stanza, spostandomi in quella che si trovava il più lontano possibile dai bambini, perché anche soltanto il dover uscire dalla mia camera e dover passare davanti alle altre con i neonati per me era la morte nel cuore. Sono rimasta in ospedale tre giorni, come una qualsiasi donna che abbia affrontato un cesareo. Poi sono tornata a casa. Ed ero da sola, per quanto la famiglia mi stesse molto vicino e avessi già una bambina di cui occuparmi. Io vedevo solo la finestra…ho vissuto una forte depressione, in cui il mio unico desiderio era porre fine alla mia sofferenza. Per fortuna non è successo. Soprattutto vivevo un tremendo senso di colpa: Dio mi ha tolto il mio bambino perché ha ritenuto che non sarei stata una buona mamma…e poi sicuramente l’ho ucciso io, ho fatto qualcosa che l’ha ucciso, ho usato uno spray nasale per il raffreddore e quel farmaco l’ha ucciso. Adesso suona ridicolo, fa ridere, ma allora ne ero assolutamente convinta. Poi ho chiesto aiuto, ho fatto alcuni colloqui psicologici, ho frequentato il forum online dell’Associazione Ciaolapo e il fatto di parlarne, di scriverne mi ha aiutato. Negli anni successivi ho anche incontrato alcune mamme che avevo conosciuto su quel forum ed è stato molto bello. La condivisione dei miei vissuti con altre donne che avevano vissuto un dramma simile al mio mi ha aiutato molto a non sentirmi sola. I colloqui psicologici mi hanno aiutato, invece, a realizzare che non era colpa mia, che non avevo tutto quel potere per poter far accadere una cosa simile. Andare da un professionista è una fatica, raccontarsi è una fatica, però fa comprendere che occorre impegnarsi attivamente per stare meglio, non solo attendere passivamente che il tempo passi. In famiglia, per quanto mi fosse molto vicina, la difficoltà a parlarne era dovuta al fatto che chi ti sta intorno soffre come te per la perdita del bambino, ma soffre anche per la tua sofferenza, per cui io mi sentivo in dovere di proteggerli. Consolavo io mio marito, la mia mamma e così mi sono trovata a decidere di dovermi arrangiare nel gestire la mia sofferenza. Anche la fede mi ha aiutato molto, pensare che il mio bambino è in un posto bello, ed è una fortuna, perché la fede o ce l’hai o non ce l’hai, non te la inventi.

Io: Hai fatto delle ricerche per capire cosa ha causato la morte di Mauro?
Caterina: Sì, ho richiesto l’autopsia, perché per me era importante sapere la causa. L’esame ha rivelato che la morte era avvenuta da pochissimo tempo, ma non è stato in grado di stabilire una causa specifica, per cui la morte di Mauro è stata assimilata alle morti per SIDS, le morti inspiegabili che avvengono in culla, nei primi mesi di vita, quando il cuore semplicemente smette di battere. Anch’io mi sono sottoposta ad alcuni esami, da cui è risultata la presenza di un batterio, la Listeria monocytogenes, con cui si viene in contatto attraverso l’ingestione di cibi che lo contengono e che causa serie infezioni in persone anziane, donne in gravidanza e i loro bambini, soggetti immunodepressi. Si tratta di un batterio la cui pericolosità in gravidanza è molto sottostimata. Sappiamo tutto sulla toxoplasmosi, altra infezione pericolosa in gravidanza, c’è una altissima attenzione su questo, ma nessuno ci dice che anche la Listeria è altrettanto pericolosa né quali cibi evitare, mentre è provato che quasi un quarto delle gravidanze associate ad una infezione da Listeria si conclude con la morte del feto a gravidanza avanzata, o del neonato.
Io: Che messaggio vorresti dare a chi leggerà queste righe e magari ha vissuto o sta vivendo una storia simile alla tua?
Caterina: Si può uscirne. Senza dimenticare nulla, ovviamente. Solo tre giorni fa mi è capitata fra le mani la sua cartella, con le sue ecografie…mi sono intenerita tanto, ma dopo qualche ora ero distrutta, piangevo di nuovo come una fontana. Tante mamme, allora, mi dicevano “Ce la fai, diamoci la mano che insieme ce la facciamo”, ma io non ci credevo, pensavo fosse impossibile, che la mia vita fosse finita. E invece sì, è possibile, ci si riesce.
Ognuno con i propri tempi, con i propri mille passi indietro, quando incontri una carrozzina per strada e cambi percorso, quando incontri qualcuno che ti dice cose assurde e vorresti strangolarlo con le tue mani, quando hai pensieri terribili verso le altre mamme in gravidanza e ti chiedi come hai potuto diventare un mostro. Ma poi parli con altre donne e scopri che hanno lo stesso vissuto, che è normale, e ti tranquillizzi. Noi, in famiglia, con i nostri bambini, abbiamo creato i nostri riti, festeggiamo il compleanno di Mauro con la torta e le candeline, compriamo le palline di Natale anche per lui, andiamo a trovarlo al cimitero e gli portiamo regali. Fa parte della nostra famiglia, è normale, nonostante le critiche che comunque riceviamo per questo, a volte anche da persone molto vicine.
Io: Cosa ti ha spinto ad accettare la mia proposta di raccontare la tua perdita?
Caterina: Io ho perso il mio bambino quasi all’ottavo mese di gravidanza e ho avuto la “fortuna” di poterlo seppellire. Non ho voluto fare un funerale vero e proprio, ma ho potuto dargli una sepoltura, avere un luogo in cui poterlo piangere, in cui andare a portare un fiore, a parlargli. Non ho voluto nessuno quel giorno, c’eravamo solo io e il papà, perché non potevo pensare di dover consolare gli altri in quel momento, non perchè non volessi farli partecipi, ma perché sapevo che avrei dirottato su di loro le energie e i pensieri, mentre invece volevo un momento mio. Ho potuto dare al personale dell’impresa di pompe funebri tutto ciò che volevo che rimanesse con lui. Il potere scegliere le cose, il pupazzo di quando ero piccola, il cuscino, tutte le cose che ho seppellito con lui, mi ha aiutato. Sono piccole cose, ma io, con quei gesti, ho avuto una possibilità di accudimento materno. Perché racconto tutto questo? Lo faccio senza alcuna pretesa di insegnare qualcosa a qualcuno, ma con il desiderio di lasciare, a chi leggerà, degli spunti presi dalla mia esperienza, in modo tale che possa riflettere se queste cose possono essere utili anche per lui/lei oppure possa sapere che può immaginarne altri, completamente diversi. A me era capitato, al quinto mese di quella gravidanza, di vivere di riflesso l’esperienza di una amica, il cui bambino aveva delle malformazioni incompatibili con la vita che avevano portato i genitori alla difficile decisione di affrontare un aborto terapeutico. Senza minimamente immaginare cosa mi sarebbe successo dopo, avevo quindi, già in quell’occasione, avuto modo di riflettere su cosa avrei potuto scegliere io, se avrei voluto vederlo oppure no, ad esempio, e anche questo, in qualche modo, mi ha aiutato, perché avevo già avuto dei pensieri prima e, in quel momento in cui sei completamente fuori di testa, aver ragionato prima facilita le decisioni difficili. Decidere di vederlo era, di fatto, una decisione già presa.
Io: Come ti è venuta l’idea di pensare, proporre, progettare un luogo per ricordare i bambini non nati?
Caterina: L’idea di creare un luogo dedicato a tutti questi bambini è nata dal fatto che conoscevo altre mamme, papà, ma anche nonni, tanti nonni, che non avevano un luogo in cui andare a lasciare un fiore. Avere un posto per ricordare è importante, perché altrimenti, purtroppo, questi bambini vengono ricordati solo dai genitori. La gente dimentica molto in fretta, forse è una forma difensiva, non so. Io sentivo di essere fortunata ad avere una tomba e sentivo l’esigenza di aiutare chi, al contrario, non aveva questa possibilità. Così ho scritto all’allora Sindaco del mio piccolo paese, Courmayeur, in Valle d’Aosta, la Dr.ssa Derriard, proponendole di dedicare una aiuola, all’interno del cimitero locale, al ricordo di questi bambini e assumendomi l’onere di prendermene cura per non gravare sul bilancio comunale. La proposta è stata accettata, per cui dal 2011 esiste questo piccolo spazio in cui chiunque lo voglia può lasciare un fiore o un sassolino con il nome o un disegno, per ricordare il proprio bimbo. Negli anni, mi è capitato alcune volte di fare anche da tramite per altri genitori lontani, che non avevano modo di raggiungere Courmayeur, e che mi hanno detto cosa fare oppure spedito qualcosa fatto da loro, in modo che potessi depositarlo. Ho parlato di questa iniziativa anche nei forum dei genitori e ho ricevuto richieste anche da molto lontano. È bello, quando vado a controllare e sistemare questo angolino, trovare un oggetto nuovo, una piantina nuova…significa che le persone ci tengono, che gli dedicano attenzione. Il mio messaggio è: “Si può fare!”
Se anche tu che leggi pensi che un luogo come questo sia utile, non esitare, fai come Caterina, prendi l’iniziativa e prova a chiedere al tuo Comune di mettere a disposizione una piccola area dedicata ai bambini meteora.
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