
Dopo la perdita di una persona molto amata, un padre, un figlio, una madre, un compagno o un bimbo non ancora pronto a nascere, il processo del lutto è complesso ed ha una durata indefinita, spesso non breve.
A meno di averlo sperimentato personalmente, può essere difficile comprendere i comportamenti di chi lo sta vivendo. Persino avendolo vissuto sulla propria pelle, può essere complicato immaginare cosa rappresenti questo percorso per altre persone e occorre essere molto cauti nell’accostarsi a chiunque lo stia affrontando, perché potrebbe vivere il dolore per l’assenza in modi per noi del tutto sconosciuti. È un dato di fatto: il lutto cambia da persona a persona.
Uno dei problemi più grandi quando si cerca di raccontarlo è proprio il fatto che le emozioni che si possono provare sono moltissime e possono cambiare da una persona all’altra, da una situazione all’altra, da un momento all’altro. Possono cambiare nel tempo. Possono esserci con tutta la loro potenza, poi attenuarsi, poi ritornare. Possono cambiare costantemente intensità.
Trovare le parole per spiegare questa variabilità è importante, perché più si conosce del lutto, più si comprende che non è un percorso lineare, uguale per tutti, con una durata e un decorso prestabiliti, e più facile sarà sia affrontarlo che essere di supporto a chi lo vive.
Recentemente, mi sono imbattuta casualmente nella descrizione che una utente di Twitter, Lauren Herschel, ha fatto del lutto, raccontando ciò che le era stato detto dal suo medico. La sua serie di tweet è diventata virale ed è conosciuta come “The box in the ball analogy”
In poche parole, la teoria espressa dal medico di Lauren descrive lo tsunami emotivo che si vive subito dopo un lutto tramite l’analogia con una palla rinchiusa in una scatola, su un lato della quale c’è un bottone. La palla rappresenta il lutto e la sua pressione sul bottone scatena il dolore.
All’inizio del percorso di lutto, subito dopo la morte di chi amiamo, la palla è molto grossa. Non è possibile muovere la scatola senza che la palla urti il bottone e il dolore ci sommerga con le sue ondate. In questo periodo praticamente qualsiasi cosa può far muovere la palla che, in questo modo, urta continuamente il bottone. Non è possibile controllarla e il dolore continua a bruciare, inesorabilmente.
Con il tempo, però, la palla diventerà progressivamente più piccola e, muovendosi, non colpirà sempre il bottone. Succederà ancora, e quando succederà farà ancora molto male, ma succederà sempre meno spesso e questo permetterà di vivere più serenamente. Questo è il lato positivo, ma esiste anche un rovescio della medaglia: occorre essere preparati al fatto che, del tutto casualmente, prima o poi, la palla colpirà il bottone quando meno te lo aspetti. A volte, addirittura, la palla potrebbe ingrandirsi e, per un po’, rendere di nuovo più acuto il dolore.
Si tratta di una analogia semplice, forse anche banale, che però riesce in modo leggero ma efficace a spiegare quello che spesso sento raccontare dai genitori in lutto: “il dolore non passa mai…” “a volte mi sembra di stare meglio, ma poi mi basta vedere qualcosa che me lo ricorda e, di colpo, è come fosse il primo giorno” “dev’esserci qualcosa che non va in me, ho sempre queste ondate di tristezza che mi travolgono”.
Il fatto poi che il tweet sia diventato virale e che moltissime persone l’abbiano commentato positivamente, affermando che fosse la miglior descrizione del lutto che avessero sentito, è una conferma che la semplicità a volte funziona.
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