
Sei nello studio di un nuovo terapeuta. Ti sei fatta strada dalla sala d’aspetto, hai messo il telefono nella borsa, la borsa ai tuoi piedi e ti sei goffamente sistemata in un angolo del divano. “Cosa la porta qui, oggi?” potrebbe essere la prima domanda che ti viene rivolta.
La risposta a questa domanda, per molte persone, è il lutto. La perdita e la miriade di emozioni che si intersecano, si alternano, si sovrappongono: paura, rabbia, rimpianto, solitudine, colpa, tristezza…
A volte, infatti, una persona in lutto ha un disperato bisogno di parlare con qualcuno, chiunque sia!, pur di poter esprimere il proprio stato d’animo, la confusione che prova, e poter parlare, ancora e ancora, della persona amata che tanto gli manca. Ma se, anziché parlare con un amico, decidesse di affidarsi a un terapeuta cosa dovrebbe cercare?
Credo sia importante, quando si cerca aiuto in seguito alla perdita di una persona significativa, trovare un professionista che abbia familiarità con i temi della morte e del lutto, non solo per averli studiati sui testi ma soprattutto grazie all’averli “vissuti” sul campo. È fondamentale, infatti, che sia in grado di lasciarsi toccare dal dolore di chi ha di fronte, di “comprenderlo” (dal latino cum – prehendere, prendere in sé, è un contenere che è includere, un capire che è afferrare, una considerazione che riorganizza e ridisegna ogni assetto precedente) grazie alle proprie esperienze personali e professionali e a ciò che ha imparato dai pazienti che hanno condiviso con lui pensieri e emozioni dopo la perdita una persona cara e da coloro che ha accompagnato alla fine della loro vita.
Può sembrare ovvio, ma assolutamente non è scontato che ogni psicologo comprenda appieno la vera natura della perdita e del lutto e sappia accompagnarti nel tuo personale percorso. In passato, ad esempio, era molto diffusa la convinzione che l’aiuto ad elaborare il lutto consistesse nell’accompagnare i pazienti verso una fantomatica “chiusura” della relazione con la persona defunta. Fortunatamente, col tempo è diventato evidente che questa “chiusura” è solo un’illusione. Le relazioni non finiscono con la morte, l’amore non finisce, il lutto rappresenta il percorso necessario ad imparare a trasformarlo in amore “in assenza” anziché in presenza.
Un altra convinzione molto radicata riguarda la conosciutissima teoria degli stadi del lutto – negazione, rabbia, patteggiamento, depressione, accettazione – elaborata da Elisabeth Kübler-Ross. Molte persone, però, non sanno che fu ideata nel contesto dell’accompagnamento a pazienti, malati terminali, e che la descrizione dei passaggi lineari da uno stadio all’altro aveva la funzione, puramente didattica, di spiegare ciò che può accadere quando ci si avvicina alla propria morte.
È stato solo qualche decennio più tardi che questo modello ha cominciato ad essere applicato al processo di lutto in generale, creando così molta confusione e molti danni a tutti coloro che, affrontando un lutto, si trovano a vivere momenti molto diversi da quelli descritti e ad aspettarsi determinate sequenze che invece non accadono, perché il lutto reale non è affatto un percorso lineare, sentendosi così ancora più sbagliati e inadeguati.
Altri psicologi hanno sostituito gli stadi del lutto con i “compiti” del lutto, ipotizzando che lungo il percorso ci si trovi a dover affrontare alcune specifiche difficoltà. Altri ancora sostengono che l’obiettivo principale del lutto sia quello di integrare la perdita nella propria vita, creando una connessione permanente con la persona morta mentre, contemporaneamente, si trova un modo per continuare a vivere pienamente la propria vita.
Purtroppo, però, molte persone ancora oggi quando decidono di cercare un sostegno psicologico lo fanno alla ricerca di quella chiusura che viene loro prospettata come risultato auspicabile.
“Deve aiutami a non sentire… [la rabbia, il dolore, la tristezza, la disperazione, la mancanza, la colpa…]” è la loro richiesta. Per arrivare poi, alla fine, a scoprire che non è possibile annullare un’emozione senza annullare anche tutte le altre. Vuoi smettere di sentire il dolore? Disattiverai anche la tua capacità di provare la gioia.
Il lutto, con tutto il suo carico di dolore, è la naturale e fisiologica conseguenza dell’aver amato. Non è affatto un percorso teso a dimenticare la persona amata pur di eliminare la sofferenza, ma ha, invece, come principale obiettivo quello di integrare una terribile perdita nella propria vita. I modi per farlo sono molti, potrei dire tanti almeno quante sono le persone che lo vivono.
Il mio consiglio è: fai tutto ciò che senti utile per te. Non permettere che altri ti dicano cosa fare, cosa pensare, come comportarti. È il tuo lutto. Sei tu che vivi l’esperienza, si tratta della tua vita. Quindi, ascolta il tuo istinto. Anche per quanto riguarda la scelta del tuo terapeuta. Quello giusto non dovrebbe dirti come dovresti sentirti, non dovrebbe farti una lezione teorica sugli stadi del lutto, non dovrebbe darti un tempo entro il quale elaborarlo. Dovrebbe, al contrario, accogliere te e tutta la tua complessità, l’unicità della tua storia e del tuo sistema di significati ed aiutarti a dare un senso a qualcosa che apparentemente non ce l’ha (il “tuo” senso) e a trovare le tue personali strategie per affrontare uno dei momenti più difficili della tua vita.
Spesso chi sta soffrendo si isola, in parte perché non vuole sovraccaricare le altre persone con il proprio dolore, in parte perché trova difficile essere in situazioni sociali in cui sembra che gli altri attraversino la vita con facilità mentre la propria si è trasformata irrimediabilmente (“Stanno parlando di questo ottimo ristorante che hanno provato durante il fine settimana o di una discussione con un collega difficile mentre il mio partner/genitore/figlio/fratello è morto!”) e in parte perché sente che nessuno può veramente capire fino in fondo quello che sta passando.
Inoltre, altrettanto spesso, riceve da chi gli sta attorno una sorta di lista di doveri: non devi andare ad un gruppo di supporto, dovresti vedere un terapeuta; non dovresti vedere un terapeuta, dovresti andare a un gruppo di supporto; dovresti andare da entrambi; dovresti andare “fuori”; dovresti prenderti il tuo tempo; dovresti parlarne con i tuoi figli in questo o in quel modo. Chiunque sembra sentirsi in diritto di offrire consigli, di solito senza voler davvero ascoltare, esprimendo giudizi e colpevolizzando per qualsiasi scelta diversa.
La decisione di cercare un supporto rivolgendosi a uno psicologo nasce proprio dall’esigenza di rompere l’isolamento, di potersi esprimere liberamente sentendosi accolti e compresi e dal desiderio di essere aiutati a trovare la strada verso un maggiore benessere, la propria strada, non quella suggerita da altri.
Ma, una volta iniziato un percorso, quali sono i segnali che suggeriscono che la scelta è stata giusta e che il lavoro fatto insieme sta funzionando?
Funziona se ti senti capito e puoi essere te stesso, con tutte le tue contraddizioni – disperazione o tristezza mescolata con la gioia di una nuova relazione, o con il sollievo che la persona che hai tanto amato (e ancora ami) non soffra più – con le tue emozioni intense, con i tuoi pensieri confusi.
È efficace se puoi esprimere tutte le tue sfumature del tuo essere, se ti accorgi di cominciare a recuperare la capacità di vedere i colori e guardare al futuro, se ti rendi conto di iniziare a funzionare meglio nel tuo dolore.
Quando tutto ciò accade, significa che vale la pena continuare finché sentirai di aver integrato la perdita nella tua vita e di aver creato un nuovo tipo di legame con la persona che ti manca. Un legame interiore che ti accompagnerà in tutti i tuoi percorsi futuri.
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